Riflessioni dell'architetto Mario Botta
Sono trascorsi tredici anni da quando una valanga di neve scesa dalla montagna retrostante ha travolto, con alcune case del villaggio, anche la chiesa seicentesca di Mogno. Chiamato da alcuni amici riunitisi in associazione per la ricostruzione della chiesa, non avrei mai immaginato che quella prima visita al villaggio martoriato fosse anche l'inizio di un'avventura umana e architettonica che ha poi segnato con intensità l'itinerario del mio lavoro.
Ancora oggi non mi sono chiare le ragioni più profonde che hanno motivato e accompagnato questo mio impegno. È certo che attraverso il tribolato processo di questo progetto ho scoperto e approfondito le valenze primordiali nascoste nel mestiere, ritrovando una simbiosi fra il "pensare" e il "fare" che è ormai prerogativa difficile da scoprire nella prassi dell'architettura contemporanea. In questa felice occasione il termine "ri-costruire" ha assunto nuovamente una connotazione positiva, lontana dalle tentazioni nostalgiche di un ricupero impossibile per assumere invece il carattere di una rivisitazione critica indirizzata soprattutto verso il nostro tempo e la nostra cultura.
Proprio mediante un confronto serrato e continuo con le tracce fisiche del passato, si è reso possibile un percorso di approfondimento attraverso il territorio della memoria dove è ancora permesso scoprire ragioni e sentimenti per attuare un'azione di resistenza verso l'omologazione devastante del vivere quotidiano. È l'architettura, nel suo continuo bisogno di affermarsi con "altro" rispetto alla natura e nel suo legittimo anelito a durare nel tempo, che offre, forse in misura maggiore rispetto ad altre discipline, quegli anticorpi capaci di contrastare l'euforia sfrenata dei consumi propria dell'appiattimento quotidiano.
Nel progetto di questa chiesa, sperduta nel fondo di una valle, dove forti resistono ancora i segni di una lotta atavica fra l'uomo e la montagna, mi è parso di intravedere una determinazione, un coraggio e una generosità che parlano di spinte ideali ancora possibili e ai quali l'architettura deve una risposta. Cosi, oltre al ricordo della vecchia chiesa distrutta, il nuovo edificio esprime la volontà di affrontare una improbabile futura valanga (sono stati realizzati a monte dei ripari valangari) e il desiderio di testimoniare e suggerire altri valori simbolici e metaforici che via via si sono moltiplicati lungo il percorso progettuale. All'architetto non e rimasto altro da fare che attingere alle origini dove i problemi, spogliati degli orpelli legati alle ragioni di un "tempo locale", si sono riproposti nei loro valori di archetipi capaci ancora di dare risposte alle domande del nostro tempo.
Per la costruzione della chiesa di Mogno ho riproposto l'uso della pietra di taglio r e cuperata nel grembo della montagna stessa (il marmo bianco delle cave di Peccia e lo gneis grigio di Riveo), nell'intento di riproporre ed evidenziare, anche in una fruizione contemporanea, l'espressione di gravità - pietra su pietra - su cui si fonda la ragione di esistere dell'architettura stessa. Ho riproposto l'uso della luce zenitale, pura, assoluta, senza mediazioni se non quelle di uno schermo di vetro (fragile ed effimero) con lo scopo di avvolgere uno spazio geometrico intero nel variare continuo del ciclo solare, capace di proporsi come strumento di misura del tempo, e offrire al visitatore l'opportunità di soffermarsi da protagonista nel silenzio che è proprio del linguaggio delle pietre.
Nel progetto interviene una manipolazione geometrica semplice che ha permesso la trasformazione dell'ellisse planimetrico di base in cerchio a livello di copertura. Poi tutto il processo di affinamento progettuale è scaturito con una sorprendente semplicità a dimostrazione evidente che un'opera di architettura è sempre il riflesso (talvolta impietoso) delle aspirazioni e delle speranze che l'hanno determinata. Questo progetto, forse più che altri, per la perentorietà e la forza che lo hanno animato, ha acceso nel Paese dispute ideologiche e violenti polemiche certamente sproporzionate alla misura dell'intervento.
Come architetto il mio ruolo è stato quello di affermare attraverso il costruire talune speranze che mi è sembrato di intravedere come segnali positivi per l'intero Paese. Questa chiesa di Mogno, cosi' voluta e cosi' osteggiata, è il frutto di un impegno che ha visto schierati centinaia di cittadini che, sorretti dai promotori, non hanno voluto accettare con rassegnazione il tragico evento della valanga del 26 aprile 1986. A tutti loro va il mio ringraziamento.
Mario Botta, agosto 1999